Analisi de I fratelli Sisters (2018) di Jacques Audiard e del capitolo Il canyon tutto d’oro de La ballata di Buster Scruggs (2018) dei fratelli Coen
La corsa all’oro ha reso il lavoro del detective molto più facile. Quando cerchi una donna, un uomo, un cavallo o un cane, basta seguire l’oro. E presto troverai chi o cosa stai cercando.
Così il disilluso John Morris descrive la banalità del profitto facile in cui sta scivolando il sogno della frontiera. Sia lui che i fratelli Sisters del titolo sono cacciatori di uomini per conto dell’inquietante Commodoro, e non potrebbero essere più diversi: il primo freddo e calcolatore, i secondi diretti e violenti.
Il loro bersaglio, il chimico Hermann Warm, un giovane mingherlino e dall’aria inoffensiva, sembra spacciato a prescindere, un vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro, come avrebbe detto Manzoni. Per sua sfortuna ha scoperto un metodo tanto geniale quanto rischioso per illuminare l’oro nascosto nei fiumi, e ha la peggiore maledizione che si può avere nel mondo opportunista della Gold Rush: degli ideali.
Morris, abituato a essere un lupo per gli altri uomini, è quasi preso alla sprovvista dal desiderio di Warm di costituire con le ricchezze ottenibili con il suo metodo un falansterio, una comunità di egualitarismo e fratellanza, sogno di quel tipo di socialismo che alcuni chiameranno utopistico, altri semplicemente ingenuo. Un uomo nel West che vede la ricchezza come mezzo per qualcosa di più grande e non come fine: è l’uomo più intelligente del West o il più stupido? Morris non ha dubbi, e decide di diventare il socio di Warm, aiutandolo nella fuga dall’incombente arrivo dei famigerati fratelli Sisters.
Le crisi esistenziali però piovono sui nostri protagonisti più dei comunque numerosi proiettili.
Eli e Charlie Sisters hanno sempre fatto della fiducia reciproca la loro arma più temibile, eppure la loro strada attraverso la natura incontaminata e velenosa sta per arrivare a un bivio: da una parte Charlie vorrebbe mettersi in proprio, far fuori il Commodoro e prenderne il posto a capo di una rete criminale; Eli sogna invece una tranquilla pensione lontana dalla violenza e dal pericolo costante. Entrambe le strade richiederanno una buona dose di sangue, e i fratelli non hanno nessuna remora a versarlo finché non è il loro.
Le due coppie di personaggi iniziano un estenuante inseguimento, in cui ogni gruppo assume di volta in volta il ruolo di cacciatore e di preda, scorrazzando per una frontiera grottesca quanto spietata. Lo scontro finale che sembra ineluttabile viene scongiurato quando i quattro si rendono conto che una dubbia collaborazione è comunque preferibile a un certo massacro.
Nel frattempo, in un mondo parallelo creato dai fratelli Coen, un anziano prospettore interpretato dal leggendario Tom Waits fa il suo ingresso in una vallata stupenda e incontaminata. La sua personale Gold Rush l’ha portato lontano dagli altri esseri umani, trasformandolo attraverso la fatica incessante della ricerca in un animale selvatico integrato nell’equilibrio naturale della vallata, personificato in un tranquillo quanto maestoso gufo. La decisione del prospettore di non mangiare tutte le sue uova muove evidentemente qualche ingranaggio nell’orologio cosmico del karma, perché una misteriosa provvidenza impedirà al prospettore di morire per mano del criminale che l’aveva seguito aspettando il momento giusto per rubargli la scoperta.
La paura di perdere tutto proprio un attimo primo di avercela finalmente fatta: da una parte dà al vecchio prospettore la forza di combattere e vincere il suo duello, dall’altra porta Charlie Sister a commettere una sciocchezza.
La formula di Warm è sì efficace, ma richiede una calma nell’utilizzo che in una Rush proprio non trova parte. Charlie finisce così senza un braccio e con due compagni in meno, i poveri Morris, che non scoprirà mai se ci fosse mai stato effettivamente qualcosa per cui valesse la pena vivere tra i lupi e le pecore, e Warm, che aveva calcolato tutto per la sua formula, tranne l’imprevedibilità dell’uomo, come sempre accade agli idealisti.
Eppure la stessa misteriosa e ironica provvidenza che ha salvato il prospettore e il frutto del suo lavoro, salverà anche i fratelli Sisters: per quanto acciaccati e senza formula per l’oro infinito tra le mani, hanno per la prima volta davanti a sé una possibilità ancora più unica: ricominciare da capo.
Charlie senza più la mano della pistola è regredito ormai all’infanzia, i suoi sogni di gloria criminale sostituiti da un caldo ritorno al grembo materno, quella fattoria dove il padre abusivo dei due era diventato la prima vittima del duo e che ora invece ospita solo l’incredula madre.
Una luce dorata diversa irradia la natura della fattoria, simile a quella che non ha mai abbandonato la vallata del vecchio prospettore, rimasta tale e quale a prima nonostante il sangue e il sudore assorbiti subito dalla terra. É dunque questa l’estasi dell’oro di cui parlava in musica Ennio Morricone?
Il western è un genere che funziona come il gioco che svolgono i protagonisti de Il castello dei destini incrociati (1969) di Italo Calvino: il narratore che vi si cimenta non ha a disposizione altro mezzo comunicativo che non siano gli arcani di un mazzo prestabilito. Nel libro i classici tarocchi, nel western una serie di personaggi e situazioni egualmente archetipiche sedimentatesi nel tempo, capaci di dare vita a schemi combinatori fissi ma dalle interpretazioni infinite.
La ricerca dell’oro è sicuramente una di queste carte, spesso usata come semplice McGuffin per mettere in moto una storia che tratterà di tutt’altro. Il pubblico sa quanto la promessa di una ricchezza istantanea possa influenzare le azioni di una persona, non serve aggiungere altro: non interessa poi che storicamente non sia stato tanto il nobile e mistico oro a fare la grande fortuna di pochi in quella parte di America bensì il ben più prosaico e sporco petrolio.
Quando il western si sposta dalle sue origini classiche per trasmigrare nel post moderno, come accade in queste due pellicole, il focus tematico passa dall’oro in sé alla sua ricerca. Cercare nel West significa combattere, contro la natura e contro gli altri uomini, per strappare quel tanto che basta a diventare superiori a loro, ed essere finalmente liberi.
Mai come nel West però la frase di Gesù Cristo chi cerca trova assume gli amari contorni di una barzelletta, e come vediamo nella parabola dei fratelli Sisters, forse sarebbe più corretto dire chi perde trova.
Il caso fortuito dei fratelli Sisters, che, sebbene orfani della potenziale ricchezza aurifera per lo meno si consolano con il ritrovato grembo materno e l’altrettanto caso fortunato del vecchio cercatore dei fratelli Coen che oltre a trovare un ricco filone salva pure la pelle, si contrappongono alla stragrande maggioranza delle iellate situazioni che hanno costellato di morti e di sofferenze di ogni tipo i protagonisti del Gold Rush e dell’assai più crudele Cold Rush americano di cinquant’anni dopo.
Così si può definire la tragedia umanitaria avvenuta nella gelida regione canadese del Klondike, regione appena oltre il confine orientale dell’Alaska, dove le condizioni climatiche di una terra proibitiva, le violenze e i soprusi di un improvvisato prototipo di società mostruosa hanno generato un’autentica ecatombe di uomini e donne che avevano avuto il grave torto di continuare ad inseguire il sogno del metallo giallo. All’alba di ogni risveglio dal sogno aurifero, dal Gold & Cold Rush e a tutti gli altri rush meno noti ma altrettanto drammatici americani, australiani, sudafricani e siberiani si è subito profilato il tramonto dei valori umani e sociali più nobili.
Nel necessario bilancio costi-benefici al quale ogni storia deve prima o poi sottoporsi, il capitolo della ricerca aurifera ha corrisposto a un prezzo spaventosamente alto e soprattutto inaccettabile rispetto ai vantaggi reali che ha prodotto.
Un numero trascurabile di individui si sono arricchiti e forse hanno migliorato la qualità della loro vita, pochissimi si sono ritagliati la sopravvivenza e poco più come i protagonisti dei due film analizzati, ma la quasi totalità dei cercatori d’oro hanno trovato soltanto le cose più brutte della vita umana e non ultimo la morte.
A maggior ragione, alla ricerca utilitaristica fine a se stessa si contrappone invece l’immenso fascino positivo della ricerca naturalistica dei minerali – di tutti i minerali e non necessariamente soltanto di quelli preziosi come l’oro e il diamante – e la ricerca della loro conoscenza storica e scientifica. E una ricerca così non è più la ricerca dell’oro ma una ricerca d’oro. Finalmente il binomio cercatore-trovatore si integra con l’armonia della natura, proprio come succede dopo la dipartita del vecchio cercatore d’oro nel film dei fratelli Coen.